francesco paolo michetti
le grandi tele
FRANCESCO PAOLO MICHETTI
Francesco Paolo Michetti nasce a Tocco Casauria il 2 ottobre 1851 da Crispino, compositore e maestro di banda e Aurelia Terzini. In seguito alla precoce scomparsa del padre e alle seconde nozze della madre, nel 1865 si trasferisce con la famiglia a Chieti dove frequenta i corsi di disegno del pittore Francesco Paolo Marchiani presso le locali scuole tecniche. Pur così giovane, già dimostra un talento straordinario che lo spinge a perseguire gli studi artistici.
Tramite una borsa di studio della Provincia, nel 1868 parte per Napoli e, per intercessione di Edoardo Dalbono, frequenta il Reale Istituto delle Belle Arti della città partenopea. Segue la scuola di Domenico Morelli e, più tardi, di Filippo Palizzi, esponenti del movimento realista, volto allo studio del vero e alla resa oggettiva dei vari aspetti della natura. A contatto con questi artisti, la cui frequentazione alterna con la scuola di Resina (la cosiddetta Repubblica di Portici), animata da Cecioni e da De Nittis, Michetti realizza le sue prime opere datate e firmate.
Studi di animali o paesaggi in cui è evidente il riflesso delle tematiche di Palizzi cantore della natura agreste illuminata dal sole del sud. “La forte personalità di Michetti e una immediata e originale elaborazione personale di questi insegnamenti, in cui la visione ravvicinata ed estremamente dettagliata del Palizzi veniva interpretata con una maggiore intensità e suggestione luministica dai forti accenti chiaroscurali nella resa del colore, lo portano presto a non sopportare più la rigidità delle regole accademiche entro alle quali il suo eccezionale talento naturale si sentiva costretto”.
(Lucia Masina e Anna Maria Osti Guerrazzi)
Frequenti sono i ritorni in Abruzzo, durante i quali Michetti studia e pratica una tecnica molto personale: oltre all’utilizzo del pastello e del dipinto a olio, arriva all’invenzione di un tipo particolare di tempera in cui il colore viene sciolto nella glicerina.
Gran parte delle opere di questi anni viene acquistata dai Fratelli Rotondo di Napoli.
Nel 1871 collabora, con un contratto di esclusiva, con il mercante Reutlinger che gli assicura la partecipazione ai Salon parigini del 1871, 1872, 1875.
Segue un periodo di importanti partecipazioni a mostre nazionali ed internazionali, fino a quando, nel 1877, all’Esposizione nazionale di Napoli, compare la sua prima opera di grandi dimensioni: La Processione del Corpus Domini.
La tela suscita immediatamente grande clamore nella critica, ben presto divisa tra estimatori come F. Netti e U. Ojetti, che ne lodano la luce ed il colore e detrattori come A. Cecioni, che rileva invece la mancanza di prospettiva e l’adesione a una figuratività influenzata dall’arte giapponese, che in quel periodo inizia a diffondersi in Europa grazie all’Esposizione parigina del 1867, la cui caratteristica è una completa assenza di profondità. È altresì forte l’influenza delle opere di Mariano Fortuny.
Le tele del pittore spagnolo, vissuto lungamente in Italia tra Napoli e Roma e morto nel 1874, si distinguevano per una grande abilità tecnica, evidente nei motivi floreali e in uno sfavillio di colori e luci che avevano già da qualche anno indirizzato Michetti verso l’uso di colori brillanti e verso una ricchezza tonale.
Negli anni 1879-1880 si stabilisce ormai definitivamente a Francavilla al Mare, dove progetta e costruisce uno studio sulla spiaggia. Nell’estate ospita Wilhelm von Gloeden (fotografo tedesco molto attivo in Italia) e conosce Gabriele d’Annunzio, allora diciassettenne. Lo studio della marina diventa un punto di riferimento per un sodalizio che avrà grande importanza nella storia dell’Arte italiana: nasce il Cenacolo degli artisti con i cenobiarchi Gabriele d’Annunzio, Costantino Barbella, Francesco Paolo Tosti e Paolo De Cecco, ai quali si aggiungono più tardi Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao.
In questi anni Michetti, spesso in compagnia dello studioso di tradizioni popolari Antonio De Nino, dello scultore Costantino Barbella e del poeta Gabriele D’Annunzio, realizza vaste campagne fotografiche che diventano il materiale privilegiato da cui attingerà per lo studio dei personaggi presenti nelle sue tele.
Nel 1883 Michetti termina la grande e complessa composizione del Il Voto (Galleria Naz. d’Arte Moderna, Roma), la prima opera ambientata in un interno, che rivela un legame profondo con una delle manifestazioni religiose più drammatiche dell’intero Abruzzo: la processione di San Pantaleone a Miglianico. Tela questa che “pezzo per pezzo, figura per figura, superava per varietà delle figure, la verità delle espressioni, il vigore del disegno tutto quello che il ‘mago’ aveva fatto fino allora” (Ojetti).
In seguito l’artista sceglierà una progressiva semplificazione formale, una maggiore purezza di pittura, una ricerca di stile più severa, che si rivelerà nelle varie versioni della grande composizione La Figlia di Iorio, unanimemente considerata la sua opera più complessa ed originale.
Con La Figlia di Iorio trionfa alla prima Esposizione d’Arte di Venezia del 1895, in quel clima culturale che vedeva affermarsi il Verismo, da Capuana a Verga fino a d’Annunzio con Il Trionfo della Morte e Le Vergini delle rocce, opere che rivelano spesso puntuali corrispondenze con l’opera dipinta di Michetti. Le corrispondenze con D’Annunzio sono talmente rilevanti da indurre la critica più recente a fissare una coincidenza di alcune fasi delle opere dei due maestri. II “naturismo” giovanile di D’Annunzio è fatto collimare con la prima maniera di Michetti, il seguente naturalismo, che caratterizza le Novelle della Pescara viene legato alla pittura de Il Voto, per l’evolvere in entrambi verso la scoperta di un Abruzzo mitico, pienamente espressa nella Figlia di Iorio (P. Gibellini).
Nell’agosto del 1888 alla presenza di quattro testimoni, fra cui Gabriele D’Annunzio, Francesco Paolo Michetti sposa Annunziata Cirmignani, dalla quale avrà tre figli: Giorgio (1888), Aurelia (1889) e Sandro (1891). Annunziata verrà negli anni costantemente da lui ritratta e fotografata divenendo così uno dei soggetti preferiti delle sue composizioni. Dopo questa data, l’artista accresce la distanza dall’ambiente artistico ufficiale, non rinunciando però a esporre, e tale allontanamento è sancito, tra l’altro, dalla vendita al mercante tedesco Ernest Seeger di tutta la sua produzione, tanto da portarlo a dire, all’amico Ojetti in partenza per Berlino: “Troverai là tutto il mio lavoro di vent’anni. Le pareti, le casse, le tavole del mio studio sono vuote. Ricomincio da capo.”
Ripreso presto il lavoro, partecipa all’Esposizione Universale di Parigi del 1900 con le due grandi opere Le Serpi e Gli Storpi ultimate per l’occasione. In seguito, altra partecipazione degna di nota è quella alla IX Biennale di Venezia dove figura un gruppo di paesaggi abruzzesi a tempera e pastello, “impressioni” dal vero di grande immediatezza e libertà di segno. Il 14 aprile 1909, su proposta di Giolitti, Michetti viene nominato da Vittorio Emanuele III Senatore del Regno.
Tra il 1922 e il 1926, progetta e costruisce una macchina per le riprese cinematografiche. Trascorre serenamente gli ultimi anni e si spegne a Francavilla il 5 marzo 1929. Tommaso Sillani, nella biografia dedicata all’artista, afferma: “Avendo sempre vissuto da giusto non temeva più la morte. Aveva, anzi scritto: “La morte è per l’uomo un bisogno come il sonno” […] E raccontava di Francesco d’Assisi e di Socrate che morirono cantando soavemente l’uno, l’altro serenamente disputando coi suoi discepoli”.
GLI STORPI
La processione di Casalbordino che ha ispirato Gli storpi si svolgeva ogni anno la prima domenica d’agosto in occasione dell’anniversario dell’apparizione della Madonna dei Miracoli avvenuta, secondo la leggenda, nel 1527. Casalbordino era meta dei contadini della regione che si recavano al santuario per invocare la guarigione dalle malattie della pelle e di ogni deformità fisica. Lungo la strada, una folla di infelici implorava la carità dei passanti urlando e lamentandosi.
La letteratura dell’epoca ci ricorda la velocità di esecuzione de Gli storpi e Le serpi, che dovevano essere pronte per la mostra di Parigi del 1900. In realtà la gestazione delle opere fu lunga e preceduta da numerosi studi e fotografie. Sin dal 1883 Michetti visitava Casalbordino. Le fotografie, i bozzetti, i disegni e i cartoni relativi al dipinto giunti fino a noi documentano l’attenzione e il lento lavoro per l’elaborazione di queste tele.
Anche per Gli storpi è stata determinante la componente fotografica. Come per Le serpi analogo è il metodo di ‘trascrizione’ dalla fotografia al disegno, poi di nuovo alla fotografia e infine dal cartone al dipinto, ma nota Carlo Bertelli, affatto nuovo è l’esito: …certe impressioni visive come due buoi, …al confronto con alcuni pezzi dell’Archivio Michetti dimostrano in lui il destarsi di un interesse nuovo per la fotografia che non è più materiale grezzo, sostitutivo della documentazione dal vero, ma qualcosa di concluso in sé che è stimolante per la sua capacità di mantenere il senso di sorpresa di un’apparizione inaspettata, l’immediatezza e la casualità di una visione. Anche nel colore e successo qualcosa di nuovo; è subentrata un’austerità quasi monocroma in contrasto con il brillìo episodico delle serpi.
Si è soliti attribuire all’insuccesso (forse perché troppo legate ad un aspetto folcloristico che non rispondeva ai canoni del gusto d’avanguardia) delle due tele il successivo silenzio di Michetti. D’altronde l’esito finale de Gli storpi, il cui crudo realismo e i toni quasi monocromi molto si avvicinano al linguaggio della fotografia, determinò l’accelerarsi di quella crisi espressiva che portò l’artista ad abbandonare quasi i pennelli ed a scindere la ricerca fotografica da quella pittorica.
LE SERPI
Tommaso Sillani, attento studioso di Michetti, spiega la genesi e l’iconografia del dipinto:
…È tra le credenze del popolo abruzzese del contado e della montagna che le verdi innocue bisce saettanti tra l’erbe quando siano avvolte ai seni senza latte delle madri lo facciano ad essi ritornare.
…Vi sono poi nell’Abruzzo pastorale, taumaturghi che proteggono i fedeli dal morso delle vipere… Tale San Domenico di Cocullo … A lui nella prima domenica di maggio accorrono i divoti sin dai villaggi marini. E i loro canti sacri e le loro preghiere accompagnano la statua del Santo tutta avviluppata e brulicante di serpi vive per essa stanate dai famosi serpari, per essa tenute prigioniere entro alle sacche di pelle caprina sin dai primi, tiepidi giorni della primavera.
La tela Le Serpi viene presentata da Michetti insieme a quella de Gli Storpi all’Esposizione Universale di Parigi del 1900, dove passano praticamente inosservate e rimangono invendute. Anche in questo caso dunque l’artista trae ispirazione dal mondo religioso contadino. Lo sfondo, nonostante che la processione dei “Serpari” si svolga a Cocullo, riproduce una fiancata della cattedrale di Guardiagrele.
Da notare la velocità d’esecuzione de Le serpi, realizzato in due mesi in vista dell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 dove fu esposto per la prima volta.
I numerosi studi, bozzetti e fotografie testimoniano però la lunga elaborazione dei dipinti. L’originalità e profondità della pittura di Michetti che va oltre gli stilemi del verismo. Le serpi e Gli storpi testimoniano l’adesione dell’artista all’animo della sua terra e conferiscono dignità e autorità storica e antropologica ai temi popolari.
Nell’evoluzione della ricerca artistica di Michetti un ruolo fondamentale svolge la fotografia, da lui utilizzata sin dai primi anni ’70. Intorno al 1884 ha inizio un’attività di reportage fotografico nei vari paesi abruzzesi in occasione delle grandi festività. Gabriele D’Annunzio, Costantino Barbella e lo studioso di folklore locale Antonio De Nino accompagnano spesso l’artista nelle sue esplorazioni… L’opera finita, che presenta diverse varianti rispetto al cartone preparatorio, rappresenta per Michetti un punto d’arrivo delle sue ricerche pittoriche. Il taglio rigorosamente orizzontale del dipinto enfatizza l’andamento processionale delle teorie di pellegrini ognuno dei quali, nota Marina Miraglia ha un suo movimento particolare che si ricollega a quello vicino in un rapporto di pose contrappuntate e di gesti. L’intenzione di cogliere attraverso questo taglio lo svolgersi temporale dell’azione, non è lontano dalla via che porterà Michetti al cinema.
In questo dipinto è ancora possibile cogliere una organicità nella costruzione della composizione, che già non è più ravvisabile nel coevo Gli storpi; ma entrambe le opere testimoniano della progressiva perdita di centralità della ricerca pittorica di Michetti, attratto da altri linguaggi, altri strumenti per la riproduzione della realtà, come il cinema e la fotografia.
Il successivo silenzio dell’artista sembra cosi trovare ragione, non tanto nell’insuccesso delle due tele, quanto in un mutato interesse dell’artista e nel definitivo incrinarsi del rapporto arte – fotografia che aveva guidato la sua ricerca sin dai primi anni.